Il Partigiano Dartagnan       

 


 

 

 

 

 

Il Partigiano Dartagnan

Capitolo primo

Capitolo Secondo

Capitolo Terzo

Capitolo Quarto

Famiglia Cotti

 

La scelta nella resistenza

L'officina dove ero occupato fu trasferita a Milano e diretta da un comando nazista, chi voleva trasferirsi sarebbe stato agevolato per abitazione e vitto, alcuni andarono, altri cercarono attività diverse.
lo restai a Roma ancora per alcuni giorni, poi mi trasferii a Persiceto, in Via Permuta presso il nonno materno Forni Ernesto.

In seguito alle esperienze avute a porta S. Paolo, presi una decisione: avrei operato contro l'invasore e criminale nazista.

Bologna bombardata

Il viaggio verso Persiceto non fu facile, vi era una calca tremenda, per due o tre volte il convoglio fu fermato dai tedeschi che cercavano militari italiani anche in borghese, da inviare poi nei campi di concentramento in Germania.
Io esibivo il congedo di esonero e un documento della ditta che ormai lavorava per loro, mi facevano un saluto e via: altri, trovati sprovvisti di documenti validi, alla prima stazione li facevano scendere.
Il treno si fermò a Bologna - S. Rufillo, oltre non si andava perchè pochi giorni prima era stata bombardata la stazione. Scesi e, con la mia valigia, attraversai la città; molte bombe erano cadute sull'abitato, mucchi di pietre, travi e calcinacci a volte ostruivano completamente la via, altre volte una grossa voragine interrompeva la strada, ogni tanto si vedeva qualche persona frugare tra le macerie, per cercare qualcuno o qualche cosa; il resto di Bologna era deserto.
Senza intoppi arrivai a Borgo Panigale e mi diressi verso Persiceto a piedi.
Dopo alcuni chilometri mi trovai dietro ad un carrettiere con un cavallo tanto scalcinato che l'avevo raggiunto, chiesi dove andava e se mi concedeva un passaggio; acconsentì, anche lui era diretto a Persiceto.

Durante il viaggio si parlava della guerra, delle bombe, della fame, delle condizioni alimentari dei persicetani che non erano certo da paragonare a quelle dei romani: a Roma c'era la tessera come qui, ma là c'era solo quella e la razione giornaliera si consumava tutta a colazione.

In breve tempo i nazisti, dopo aver liberato Mussolini, gli avevano fatto costituire una repubblica detta di Salò, perchè là era ubicato il comando, incapace di governare, ma che sapeva ubbidire.
Anche quando Hitler aveva instaurato un'amministrazione civile nazista a Bolzano, a Trento, a Trieste e ipotizzava mire su tutto il Veneto, il governo Mussolini non disse una sola parola, per contraddire "il padrone".
Poi si costituì la Brigata Nera che, sotto diverse sigle, era una forza armata, sempre agli ordini nazisti e molto spesso li emulava nell'uccidere e nel torturare.

Io avevo visto altri popoli opporsi all'invasore, organizzandosi in gruppi clandestini, gli slavi, i francesi, i russi stessi nelle varie sacche che i tedeschi avevano fatto, erano riusciti a creare un'organizzazione di militari alla macchia.
Perchè anche in Italia non si costituiva qualcosa di simile?
Ed effettivamente si formò il Comitato di Liberazione Nazionale, un organismo del quale facevano parte tutte le rappresentanze politiche antifasciste: Democrazia Cristiana, Partito d'Azione, partito Socialista, Partito Comunista, Partito Repubblicano... ne era comandante il gen. Cadorna, vice comandante Longo.

Venendo a Persiceto, pensavo di seguire quella stessa strada, anche se ardua per mancanza di esperienza.
Ora il compito di tutti era organizzarsi per una sollevazione generale che, prima o poi, si sperava di realizzare.

 

L'organizzazione dei partigiani a Persiceto

Trovare gli agganci a Persiceto non era facile: si era dei clandestini e bisognava legarsi ad altri clandestini.

Per giorni e giorni si frequentavano ex amici, cercando di sondare il punto di vista di ognuno senza sbilanciarsi troppo, per non correre inutili rischi.

Alla fine di settembre i primi contatti erano a buon punto, ci si era incontrati più volte di nascosto con i primi giovani:
Vecchi Enrico, Bussolari Bruno (Bevero), Cotti (La Mòsa), Bonfiglioli (Pezal), Drusiani, Colombo, Lucchi Tonino.

  S.A.P.
Poi venivano gli anziani, che si erano posti il compito di organizzare questi ragazzi in gruppi, a compartimenti stagni, legati ad una cerchia ristretta, per evitare che lo scoprire uno di essi da parte fascista, significasse svelare tutta l'organizzazione.
Comunque in poco tempo in tutto il Comune si formarono questi gruppi, più o meno numerosi, ma in ogni rione di case, anche piccolo, si era costituita una S.A.P. (Squadre di azione patriottica) o un G.A.P. (Gruppi di azione patriottica). Ognuno aveva vita autonoma, anche se legato ai vari comandi tramite staffette.
Qui è bene sottolineare che l'80-90% di esse erano donne, sorelle, madri o anche partigiane senza legami di parentela con gli uomini.
Se l'obiettivo finale consisteva nell'insurrezione armata, vi era però un lavoro costante di sabotaggio verso l'esercito nazista e nello stesso tempo una grossa attività di propaganda antinazista.

Ciò allo scopo di preparare l'opinione pubblica ad operare in tutti i modi possibili contro quelle forze che, per noi italiani, rappresentavano solo degli invasori.

   Sorelle, madri e partigiane

Tutti sentivano ormai che G.A.P. e S.A.P. volevano dire libertà.
Chi era il gappista?
Era una persona, prevalentemente un giovane, che apparteneva ad un gruppo, ma che operava soprattutto da solo: il mezzo di locomozione era la bicicletta, l'arma usata la pistola.
I gappisti svolgevano le loro azioni quasi sempre di giorno, agendo su direttive del Comitato di Liberazione Nazionale oppure su ordini ricevuti per radio dal governo oltre il fronte, a volte anche dietro indicazioni avute da volantini lanciati da aerei, in certe occasioni in divisa da fascista, se occorreva.
Le loro azioni erano le più disparate, dai sabotaggi (fili telefonici, binari ferroviari, chiodi a quattro punte micidiali, seminati per forare i pneumatici) all'eliminazione fisica di criminali e torturatori della brigata nera, sempre dietro ordine del Comitato Nazionale di Liberazione.

Ai Forcelli, una borgata a ridosso del torrente Samoggia, oggi non più esistente, abitava un gappista, di cui non conosco il vero nome, ma in battaglia era "Funsòn".
Egli partì un mattino in missione, doveva andare a Cento, passando per Pieve.
Arrivato sul ponte del fiume Reno si accorse che, dall'altra parte della strada, vi era un posto di blocco: retrocedere era ormai tardi; continuò, sperando di non essere fermato, poichè non tutti venivano arrestati ai vari posti di blocco, ma solo i sospetti. Giunto al centro, gli intimarono l'alt.
Fulmineo estrasse la pistola e sparò, continuando a pedalare, ne nacque un conflitto a fuoco vero e proprio.
Una pallottola lo colpì ad una gamba, non gravemente per cui continuò a pedalare fino a giungere in Via Permuta, ove sapeva che risiedevano i suoi amici fidati: Serrazanetti Adelmo e i fratelli. Solo allora si fermò, ricevendo le prime cure, aveva una scarpa piena di sangue. Questa fu un'azione da gappista, anche se le circostanze non gliela fecero portare a termine.

I G.A.P hanno sempre operato in autonomia, soltanto alla fine del 1944 furono organizzate creando la settima G.A.P., brigata a livello provinciale, che comprendeva quasi tutti i persicetani impegnati contro i fascisti.

Le S.A.P. invece erano Squadre prevalentemente composte da tre a cinque persone, a volte più numerose, organizzate in gruppi e che, oltre a tutte le attività proprie dei gappisti, portavano a termine azioni congiunte.
Essi molto spesso non disponevano solo di pistole, ma anche di fucili e non furono pochi quelli che risultarono armati perfino di mitra e di mitragliatrici.
Anche le S.A.P operavano in modo autonomo, questo fino a metà del 1944, dopo anch'esse furono inquadrate in varie brigate, con l'obiettivo di un'insurrezione armata finale.
E noi della Via Permuta, in modo autonomo, fin dall'autunno '43 costituimmo una S.A.P, che ritengo sia stata una delle più attive nel persicetano.
Infatti quel tratto di strada, che chiamasi Via Permuta -Lupria, in frazione di Amola, era a quei tempi abitato da molti giovani, fra i quali Scagliarini Mario, maresciallo pilota ed io, organizzati nei ribelli (così erano chiamati, in un primo tempo, quelli che avrebbero composto la resistenza armata).
Iniziammo i contatti per primi proprio Scagliarini Mario ed io, fummo invitati ad una riunione. L'appuntamento era oltre il Samoggia, là ci recammo, ma era solo il primo posto d'incontro. Una signorina, quasi una ragazzina, in qualità di staffetta, ci accompagnò nel luogo prestabilito.
Entrammo in una cucina abbastanza grande, là vi era una quindicina di persone, chi in piedi, chi seduto. Non conoscevo nessuno, oltre a Scagliarini.
Senza tanti preamboli uno si alzò in piedi, disse che si chiamava Bencis (nome di battaglia? Mai più visto!) e fece una relazione, non è che analizzasse la situazione, nè che si dilungasse su argomenti di carattere politico immediati o futuri, di qualsiasi natura, ma, date le circostanze, l'importante era agire e agire subito.
In ogni agglomerato occorreva: eleggere un comandante, organizzare un gruppo armato e ad ogni occasione operare dei sabotaggi al nemico, facendo saltare tratti di strada ferrata, per ritardare la marcia ai convogli tedeschi, seminare sulle strade chiodi a 4 punte, una delle quali sempre avrebbe forato la gomma dell'automezzo bloccandolo, tagliare tutte le linee di comunicazione possibili naziste, impedire che i tedeschi asportassero il grano in Germania, sabotando, se era il caso, anche la trebbiatura, operare infine in tutti i modi realizzabili per danneggiare l'invasore.

In quei tempi non vi erano ancora brigate, battaglioni Garibaldi, Matteotti, Giustizia e Libertà..., ma soltanto ribelli, autonomi, ma pur sempre ribelli (così ci definiva la brigata nera del rinato governo Mussolini).

 

 

 

Brigate Garibaldi - Divisione Armando - Il Comandante di Battaglione Tenente Dartagnan (Alberto Cotti)