Nonno Ernesto è nato nel 1864 l'anno prima del "tremendo asiatico colera morbus" al quale evidentemente sopravvisse.

 
Persicetani! Il tremendo asiatico morbo è riapparso in Italia, e sebbene sia anche lungi da noi, gettiamoci ai piedi della divina misericordia per implorare ai percossi la liberazione da un tanto flagello ed a noi di essere preservati. Interponiamo per tale effetto la possente mediazione del glorioso nostro Protettore S. ROCCO e vedremo ripetersi i prodigi che riportarono altre volte i nostri avi. Ma preghiamo con cuore contrito ed umiliato, chè solo le preci accompagnate dal pentimento hanno virtù di strappare flagelli dall’irata destra di Dio.
Imprimatur Aloysius Arch.Santini D.A.
- 8 agosto 1865.
La vita è stata particolarmente dura con Nonno Ernesto, ma non ha scalfito più di tanto la sua forte fibra. Lo ricordo ancora molto in gamba nel 1958 tornare dal mercato in bicicletta portando sul cannone un tinazìno per mostare il vino.  
 
Nonno Ernesto
ha perso la moglie molto presto e poco dopo ha visto morire di parto sua figlia Maria; aveva 24 anni e lasciava 4 figli.

Ha passato anni durissimi per allevare i 4 nipotini lasciati soli dal padre.

Partiva presto la mattina a piedi con la carriola e tornava stanco la sera dopo aver lavorato all'argine della bonifica.

Aveva anche una parte e quindi non doveva proprio fare sempre la fame.

Erano circa 7 tornature che lui vangava, seminava, zappava e mieteva tutta a mano.

Da molto giovane piantò davanti a casa una vigna di uva nera, dolce e dai chicchi grassi della quale ricordo l'imponente pergolato.

Me ne dava piccoli dolcissimi grappoli quando in estate lo andavo a trovare.

Avevano un sapore di famiglia, come se nel mio DNA fosse già stato presente chissà da quanto.

 

 
Con i nipotini divideva cipolla e pane secco e la domenica un cucchiaino di saba.
I scariolant
Quatar fete d' polenta, e par pietansa, al fum e na sigola par contoran;
e godat dop, sa t' pò, trionfa pansa e pinta in la cariòla tut' al gioran...
Polenta! on bon magnar ch' a dà sostansa
con do scudele d'acqua in fin mesgioran,
 
 

e ai fanegot la carn' e 'l vin al gh' vansa, e 'l pan
i gh' al fa aposta in sa 'l mesgioran l' ha bel e fnì.

Chi gh' pianta na fumada, chi in presia tòs la cica,
parchè 'l sbraia al caporal, che l'ora l'è pasada.

Fa cald!  On qualchidun scav' in pataia,
però nisun a rid, nisun a gh' bada, e tuti acsì pian,
pian i sa scoraia! - Doride BERTOLDI 1937

 

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