Il Partigiano Dartagnan       

 

 


 

 

 

Il Partigiano Dartagnan

Capitolo primo

Capitolo Secondo

Capitolo Terzo

Capitolo Quarto

Famiglia Cotti

 

Il fronte a Dnepropetrovsk si trovava lontano, la vita era relativamente comoda specie per gli ufficiali che, avendo a disposizione un grosso isolato, tutte le domeniche e non solo organizzavano feste da ballo, a cui invitavano una decina di signorine russe.
Si mangiavano pasticcini fatti con la razione dei militari, si bevevano bottiglie di liquore, pagando tre o quattro anziani russi che con balalaiche facevano musica.
Chi apriva le danze era il colonnello comandante ed in quelle occasioni nessun militare doveva farsi vedere neanche nei paraggi.

Il settimo autoparco era una grossa officina con il compito di riparare gli automezzi danneggiati da eventuali mitragliamenti o che per usura necessitavano di riparazioni.
Il mio compito specifico era quello di centralinista telefonico e, siccome avevamo diversi depositi-carburante anche a ridosso della prima linea, io per le varie telefonate che intercettavo fra i comandi, mi rendevo conto dell`andamento delle operazioni al fronte.
La zona universitaria era ai margini della città e dietro di essa fra vari dislivelli del terreno, vi era uno sperone di terra a semicerchio che ad imbuto scendeva ad una piccola vallata.
Nel passare osservavo sempre che nel fondo del valloncello la terra era tutta smossa; m'informai dai russi ed essi risposero che i tedeschi lì avevano fucilato decine e decine di civili.
Non vi credetti.
- I russi - pensavo - cercano di diffamare i nostri alleati.
- Non credevo, non potevo credere che a freddo si potessero uccidere civili innocenti: donne, bambini, vecchi.
Purtroppo non conoscevo i nazisti!

Si avanzava, dicevano, si pensava che la guerra fosse ormai decisa e che, dopo pochi mesi, si sarebbe tornati a casa.

Verso l'autunno tutto il Parcauto fu trasferito, passando per Stalino, a Vorosilovgrad.
Non eravamo ancora in prima linea, ma verso Stalingrado si udiva un continuo "brontolio" e di notte si distingueva un chiarore quasi fosse un'aurora boreale.

Là da mesi esisteva l'inferno!
Gli ufficiali non fecero più feste da ballo, anche perchè ci si trovava al centro della città in una grossa fonderia cui i russi, prima di ritirarsi, avevano lasciato soltanto i muri.

Anche se non tutti, molti ufficiali cominciarono a fare incetta di pellicce, ed anche di pacchi-viveri conservabili, da mandare in Italia a casa, anche se con tutti i passaggi militari che dovevano fare, a destinazione probabilmente non sarebbero arrivati mai.

A dicembre furono i russi ad attaccare Stalingrado e sfondarono sul Don.

     Contrattacco Russo a Stalingrad
Un pomeriggio il colonnello riunì tutti i componenti de17° Parcauto e, dopo aver parlato di una piccola infiltrazione nemica, ordinò di scavare delle trincee per costruire una linea di resistenza.
Il freddo era tremendo, una fine neve perlinava in una bufera di vento terribile.
In pochi secondi gli occhiali furono pieni di neve, essa penetrava da tutte le parti, occorreva solcare il terreno, ma questo era più duro del cemento.
Con quali armi avremmo dovuto poi resistere?
Una colonna di carri armati russi aveva raggiunto Kantemirovka.
Uno dei nostri depositi carburanti era lì.
Bruciarono tutto, distrussero quanto c'era nei magazzini, poi si ritirarono.
Derisi dai tedeschi, gli alpini e bersaglieri a piedi cercavano, nel ritirarsi, di salire sui camions tedeschi, ma ad alcuni vennnero pestate le mani, schiacciate le dita, fino a che, mancando la presa, rotolavano sulla pista e venivano investiti dagli automezzi che seguivano.
I russi avanzavano a colonne di carri armati, noi dell'autocentro dovevamo dunque fare una linea di resistenza.
Con che cosa? Con carri armati? Nessuno! Con cannoni? Nessuno! Con mortai? Nessuno! Con mitragliatrici? Nessuna!
 Tank Russi
Avevamo armi individuali e basta: moschetto modello 38 che non si distingueva di molto, se non in peggio, dal vecchio modello 1891.
Chi faceva l'autista con camion e autocarretta era armato con bandoliera e pistola a tamburo. Poteva resistere ai carri armati?

Arrivò finalmente l'ordine di ritirarsi, i russi non erano arrivati fino a noi, avevano piegato a destra e a sinistra, sentivamo ormai vicine le cannonate, ma riuscimmo a caricare tutto il materiale insieme al macchinario e partimmo da Vorosilovgrad.
Noi fummo fortunati perchè, essendo dell'autocentro, viaggiavamo su un cassone coperto da un tendone che, da tutte le parti però lasciava entrare la neve, c'erano 40° sotto zero.
Per cinque giorni ci si dava il cambio per mezz'ora o tre quarti d'ora per dormire, poi si veniva svegliati da altri che avevano già dormito il loro turno.
Guai a superare quel limite, ci si svegliava che i piedi non si sentivano più, si levavano calze e scarpe e ci si massaggiava con una pasta anticongelante fino a che i piedi cominciavano a far male, segno che la circolazione del sangue aveva ripreso.

Certamente furono meno fortunati tutti quelli che, non avendo automezzi, furono obbligati a marciare per chilometri e chilometri nella steppa, ove non esisteva altro che neve.

Io avevo un cugino sul Don e vari amici di Persiceto, ci scrivevamo spesso, illustrandoci a vicenda la situazione in cui ci trovavamo; molti di questi amici, compreso mio cugino, non sono più tornati.

  Ritirata di Russia

La nostra ritirata ebbe termine in un bosco nei paraggi di Ravarusca a venti chilometri da Leopoli, in Polonia; eravamo isolati in questo bosco e lì rimanemmo fino a marzo, poi fummo rimpatriati.

Facevamo parte di quei pochi italiani rimasti dell'armata italiana in Russia A.R.M.I.R.

 

 

 

Brigate Garibaldi - Divisione Armando - Il Comandante di Battaglione Tenente Dartagnan (Alberto Cotti)