Il
Partigiano Dartagnan
Capitolo
primo
Capitolo
Secondo
Capitolo
Terzo
Capitolo
Quarto
Famiglia Cotti
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Decisioni importanti
La brigata nera si era presentata a casa di Serrazanetti
Alessandro, mettendo tutto sottosopra; aveva avuto sentore
che egli fosse a casa e occorreva provvedere.
Decidemmo quindi di mandarlo in formazioni operanti in
montagna.
Un mattino, con pochi soldi, un indirizzo e una parola
d'ordine nella mente partì, accompagnato da un francese e da
un polacco, che erano fuggiti dalla prigionia tedesca.
Rimanemmo d'accordo con Tito che, se gli fosse stato
possibile, dopo un po' sarebbe tornato per vedere la nostra
posizione.
Dopo una ventina di giorni, eravamo alla fine di luglio
circa, una sera mi fecero sapere che a casa Cremonini (base)
vi sarebbe stata una riunione del gruppo.
Fui puntualissimo, Serrazanetti era tornato, assieme a lui
partigiani in montagna (non più ribelli, ma
partigiani), vi erano Forni Dario di Accatà e
Nicoli Enrico del centro Persiceto.
In quella riunione si discusse animatamente, c'era chi
sosteneva di potenziare in pianura gli aspetti militari che
la resistenza aveva in montagna, rafforzare maggiormente i
G.A.P. e le S.A.P., preparare quindi in tutta la pianura
quell'organismo che poi fosse sfociato in un sollevamento
generale al momento opportuno.
Altri asserivano che in pianura, oltre ai sabotaggi, non si
poteva andare, perchè azioni più marcate ed aperte sarebbero
state perdenti in partenza, data la configurazione della
pianura, senza poi contare le eventuali rappresaglie che i
nazisti avrebbero attuato. Si discusse fino all'una circa,
arrivando alla conclusione che quelli che non erano
ricercati restavano continuando l'attività, gli altri, cioè
Nicoli, Serrazanetti, Forni Dario ed io, saremmo partiti
successivamente, per unirci a formazioni di montagna.
Avendo ormai preso la mia decisione, nel pomeriggio del
giorno successivo andai a salutare, fra gli altri un caro
amico che frequentavo fin dall'infanzia, quando mi trovavo a
Persiceto: era l'allora brigadiere dei carabinieri Vittorino
Bussolari.
Egli, come appartenente all'arma preposta all'ordine
pubblico e quindi di polizia, era rimasto in servizio anche
dopo l'otto settembre. Di lui mi fidavo in modo assoluto e
parecchie sere ci incontravamo, quando la mia attività mi
lasciava il tempo, oppure le circostanze lo permettevano,
poichè lui prestava servizio alla caserma Magarotti di
Bologna tutte le sere veniva presso la sua famiglia e vi
pernottava. Andai quindi a salutarlo; era ancora giorno, i
suoi genitori appena mi videro dimostrarono imbarazzo,
titubanza. - Cosa c'era? - Mi chiesi.
Poi si decisero, mi accompagnarono nel fienile, da
un cumulo di balle di paglia ne estrassero una e
dall'apertura che si era formata ne uscì il
brigadiere.
Restai
di stucco.
Ma che
faceva il mio amico là sotto nascosto?
- Ma che fai? - Gli chiesi, appena fu uscito, mentre
mi stringeva la mano.
- Sono riuscito a scappare - Rispose.
- Come riuscito? (sapevo che tutte le sere era a
casa!)
- Egli allora mi raccontò che la sera prima tutti i
militari furono consegnati in caserma, sospese le
uscite, nessuno poteva andar fuori neanche per
servizio.
Verso mezzanotte un milite suo amico lo chiamò
- Vieni a vedere!
- Tutta la caserma era circondata dai tedeschi, ad
ogni angolo avevano piazzato delle mitragliatrici.
Capirono subito che cosa li attendeva. |
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Tedeschi |
Entrambi si affrettarono, senza prendere nulla, a
portarsi all'ultimo piano proprio sotto i tetti e
qui con mezzi rudimentali praticarono un buco fra le
tegole, vi si infilarono uno dopo l'altro, poi alla
men peggio riuscirono a tamponare il buco fatto.
Dai tetti poterono osservare lo svolgersi
dell'operazione.
Con mitra spianati i nazisti, urlando, avevano
concentrato tutti i carabinieri nel cortile, dopo
averli disarmati, poi alcuni gruppi perlustrarono i
vani della caserma ed anche il soffitto.
Da sopra i tetti, immobili, sentivano che stavano
rovistando dappertutto e se trovavano qualcuno a
calci lo portavano nel cortile assieme agli altri.
Ormai avevano cercato in ogni angolo e quasi tutti
erano nel cortile in attesa dei mezzi che li
avrebbero caricati e deportati in Germania.
Stava intanto albeggiando e per paura che dalle
abitazioni vicine i due fuggiaschi fossero visti e
segnalati decisero di tentare l'uscita; per una
scaletta secondaria, si portarono ad una porticina
che dava sulla strada, da questa spiarono, un
nazista faceva la spola di guardia a quel tratto.
Trattenendo il respiro ascoltarono quando la
sentinella era passata e quindi avrebbe voltato loro
le spalle. Aprirono la porta, in mutande e
maglietta, di corsa, attraversarono la strada
nascondendosi prima dietro le colonne del portico,
poi entro un portone.
La famiglia che vi abitava fornì loro vestiti
borghesi che permisero di arrivare alle rispettive
case.
Tutti gli altri carabinieri furono deportati in
Germania.
Arrivato a casa, il mio amico, siccome abitava nella
proprietà Zambonelli (Seniore della milizia),
dovette non farsi vedere, ecco perchè aveva cercato
rifugio sotto quelle balle di paglia e chissà quanto
avrebbe dovuto restarci.
Ciò anche perchè i tedeschi avevano in mano
l'organico della caserma e non figurando lui fra gli
arrestati, ci si aspettava che lo avrebbero cercato
a casa; da qui il suo nascondersi.
- Vieni con me - dissi - vado in montagna con i
ribelli, almeno se dovrò morire lo farò con un mitra
in mano!
- Non venne, era ancora troppo scosso dagli ultimi
avvenimenti o
forse, valutando la vita terribile del ribelle,
decise di restare.
Una stretta di mano ed un abbraccio, unitamente a
reciproci auguri, conclusero il nostro incontro.
Partigiano in
montagna
Alle ore sette di uno dei primi giorni di agosto del
1944, cessato il coprifuoco, in bicicletta,
distanziati gli uni dagli altri, per non dare
nell'occhio, partimmo da Persiceto.
Il padre di Serrazanetti, ottantenne, faceva la
staffetta. |
In tre
avevamo documenti falsi, il quarto ne era
sprovvisto, ma si era bardato da garzone contadino,
così che nessuno gli chiese il documento, nonostante
ci appressassimo agli Appennini e la sorveglianza
aumentasse.
Incontrammo pattuglioni di brigata nera in servizio,
altri gruppi numerosi piazzati nelle caserme,
fortezze di fatto, ma che non sembravano avere una
certa tranquillità per quei sacchi di terra
ammucchiati, anche se dietro vi era piazzata una
mitragliatrice. |
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Partigiani in
montagna |
Arrivammo ad un paesino ove la caserma era un vero
fortilizio, opere in cemento, cavalli di frisia,
filo spinato ovunque, però non c'erano armati e,
alla mia domanda, mi si rispose che ormai si era in
zona di nessuno; quella caserma era stata attaccata
giorni prima dai partigiani e le brigate nere non si
azzardavano ad inviare una nuova guarnigione.
Il padre di Serrazanetti ci salutò e tornò a
Persiceto, i miei amici consegnarono le biciclette
che avevano preso in prestito e a piedi ci
incamminammo su per la montagna.
In
cima ad essa vi era un casolare. Arrivati nell'aia
il contadino ci invitò a mangiare un piatto di riso
e fagioli.
Io ne avrei mangiati dieci, si girava dal mattino ed
era ormai pomeriggio. Appena terminato, i miei
compagni andarono nel fienile, estraendovi tre mitra
con quindici caricatori, alcune bombe a mano, roba
nascosta quando erano scesi.
Poi, salutati tutti i componenti della famiglia, ci
incamminammo sempre per sentieri sui crinali, verso
Montefiorino. |
Come
primo punto di riferimento avevamo il ponte di
Samone.
Ogni tanto cercavamo fra i montanari che si
incontravano uno che almeno per un tratto ci facesse
da guida, venivano volentieri, solo si scusavano
perchè, data l'età, (giovani non ce n'erano)
sarebbero stati lenti, il loro motto era: - Lì,
oltre "cinq minut" - Il che voleva dire
marciare per due - tre ore ad una andatura
impossibile (per fortuna che erano anziani! ). |
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Partigiani in
marcia |
La
scarsa alimentazione e lo sforzo fisico mi
procurarono un male alla testa insopportabile; non
riuscivo a continuare il cammino.
Erano ormai le due di una notte buia più del solito,
non si vedevano casolari, anche perchè in montagna
sono molto radi. Finalmente ci accorgemmo di una
casa quando vi eravamo a pochi metri.
Due
di noi si appostarono agli angoli per sicurezza, uno
bussò, ribussò più forte, una voce dal primo piano
chiese chi era.
- Partigiani - fu la risposta.
Si sentì un gran trambusto, diverse persone in
fretta scesero le scale; fummo invitati ad entrare,
ci diedero di che rifocillarci e, mentre si era
seduti, due bambini dalla cima della scala ci
osservavano, al che la mamma disse:
- Loro non hanno mai visto i partigiani, come del
resto anche noi -.
Li invitammo a scendere ed essi, senza farsi
pregare, vennero a toccare quei partigiani di cui
avevano sentito parlare tante volte, senza mai
vedere.
Ci riposammo per una mezz'ora, ringraziammo tutti i
componenti della famiglia che, seppure per breve
tempo, si erano comportati da fiancheggiatori e
quindi passibili di fucilazione.
Camminammo tutta la notte; ci si vedeva da poco che
i miei compagni, additando un fienile fiancheggiante
la casa, esclamarono:
- Ecco, qui vi è la prima formazione partigiana! -
Io non vedevo nessuno, solo quando fui in direzione
del fienile m'accorsi di una trentina di canne, fra
fucili e mitra che ci tenevano sotto tiro.
Fu scambiata la parola d'ordine, scese il
comandante, assieme mangiammo una zuppa di latte con
pane insipido, poi proseguimmo per raggiungere la
nostra compagnia, che ad un'ora di cammino trovammo
alla Rocchetta.
Qui
l'inquadramento era militare. |
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