Il Partigiano Dartagnan       

 

 

 

 

 

Il Partigiano Dartagnan

Capitolo primo

Capitolo Secondo

Capitolo Terzo

Capitolo Quarto

Famiglia Cotti

 

 

   
   
 
 

 
   
   
Il castello era stato abbandonato dai proprietari, forse in attesa di tempi migliori o perchè costituiva la residenza estiva.
Vi si trovava però un maggiordomo con tanto di livrea che, essendo solo, fungeva
anche da custode.
Egli non voleva í partigiani, li vedeva di malocchio e affinchè se ne andassero, metteva in evidenza che si era lontani da tutti, isolati e che per raggiungere un centro abitato e divertirsi un po' occorreva fare svariati chilometri.
Ma l'argomento sul quale insisteva maggiormente era la presenza degli spiriti nel castello.
Andai quindi a visitare anche quel gruppo seppure lontano, conseguentemente prevedevo di trascorrere la notte assieme a loro.
Io entrai, i partigiani sapevano della mia visita ed il ritrovarci fece piacere a tutti.
Ci mettemmo in cerchio a conversare di tante cose e dei momenti passati, alcuni anche divertenti, fino a che si arrivò a parlare della loro sistemazione al castello e dei rapporti con il maggiordomo.
Mi risposero che non vi erano più problemi, accennarono solo agli spiriti.
- Come gli spiriti? - chiesi - L'ha detto il maggiordomo!
- Effettivamente si sentono di notte rumori strani, porte che si aprono, a volte sembra un muoversi di catene -
E voi che fate? - replicai.
In modenese mi risposero: - No a durmèn! (Noi dormiamo) -
Rimasi anch'io quella notte, non sentii rumori strani, ma ad una certa ora, una porta s'aprì, non c'era nessuno.
E sì che nella porta c'era la maniglia.
Comunque feci come gli altri, dormii saporitamente; l'importante era che non ci fossero allarmi o attacchi improvvisi dei tedeschi, altro che spiriti!

Al mattino ripartii e, appena arrivato al comando, Armando mi fece chiamare; mi recai immediatamente da lui e mi fu comunicato che a giorni il battaglione sarebbe tornato al fronte.
Dopo un paio di giorni infatti alcuni camion alleati vennero a caricarci e partimmo per la prima linea.
Durante il viaggio non avemmo incidenti, ci dispiaceva soltanto non tornare al fronte della Querciola, che ormai ci era famigliare e dove ormai eravamo in grado di operare anche al buio, conoscendo bene il luogo ed ogni piega del terreno.
Ci avevano aggregati, di rinforzo, alla brigata Costrignano, subendo anche la divisione del battaglione.
Infatti la Morselli che, per diversi mesi avevo comandato forte di cinquanta partigiani, rimase a Pescia.
Terminò così il mio periodo di riposo, il battaglione fu diviso ed in parte rispedito al fronte in previsione di una offensiva primaverile.

La compagnia Tabacchi assieme al vice comandane di battaglione fu rimandata a Vidiciatico a rinforzare la brigata Fulmine la quale teneva un tratto di quel fronte.
Ed io, in qualità di comandante di battaglione, unitamente alle compagnie Piccoli, Roveda e Ruozzi, fui inviato sul fronte di Lizzano Pistoiese.
Precisamente a Lizzaneta a rinforzare la brigata Costrignano anch'essa su un tratto di fronte.
Il nostro coposaldo principale era sul monte Spigolino, una cima alquanto rocciosa.
Il nemico era anch'esso appostato fra le rocce a Cima Tauffi, ma siccome avevamo previsto proprio in questa zona il passaggio della linea gotica, vi si trovava un vero fortino con feritoie e camminamenti, dotati anche di mortai.
In quelle postazioni noi rimanevamo anche per otto giorni dopo di che altri partigiani ci sostituivano per un uguale periodo mentre ci riposavamo a Lizzaneta.
Quando si era al fronte su monte Spigolino la partenza dall'accampamento era al mattino da Lizzaneta sotto Pistoia e, per tutto il giorno era un salire prima fra terreni coltivati, poi più in alto fra immensi e fitti boschi con una serie di tornanti su un sentiero, che si era formato al nostro passaggio.
Aumentando la quota finivano gli alberi e rimanevano solo macchie di arbusti spinosi e radi, sempre più radi fino a giungere ove c'era solo roccia ricoperta di spessa neve e di ghiaccio fino ad aprile inoltrato.
Un tratto di circa duecento metri, là dove finiva il bosco, restava scoperto dalle postazioni nemiche, specie quella di Cima Tauffi, inquadrabile alle loro armi pesanti; tutte le volte che si passava da quel luogo il nemico ci dava il benvenuto a colpi di mortaio, ma era per loro una soddisfazione magra poichè noi, ormai abituati, sentivamo il colpo di partenza, il sibilo del proiettile in discesa e distinguevamo dal sibilo stesso a che distanza sarebbe scoppiato; comunque ci riparavamo sempre per non essere colpiti dalle eventuali schegge.

Da questi attacchi non abbiamo mai avuto perdite.
Soltanto una volta, dopo una settimana di prima linea, appena avuto il cambio, stavamo scendendo e proprio in quel punto incontrammo la consueta colonna di alpini (nuovo esercito italiano), addetta al nostro vettovagliamento.
Come al solito cominciò l'attacco dei mortai.
Sentimmo il colpo di partenza, il sibilo che si avvicinava, poi più nulla.
- Questo è vicino! - si gridò.
Tutti ci stendemmo riparati fra le rocce, partigiani ed alpini appena in tempo, poichè la granata scoppiò vicinissima, l'unica vittima fu un mulo.
Provarono però una grande paura quei poveri alpini, tutti del Meridione, inoltre per loro fu il battesimo del fuoco.
Quando, a metà aprile venne l'ordine di passare all'offensiva, il battaglione da me comandato si trovava a Lizzaneta ed aveva terminato la settimana di riposo, quindi toccava a noi attaccare.
Poco dopo la mezzanotte, controllato tutto l'armamento, partimmo per Monte Spigolino, era la solita strada percorsa tante volte ed anche al buio non potevamo sbagliare.
Arrivammo alla cima che era ancora notte fonda.
Ci fermammo un dieci minuti per riposarci e per informarci dai partigiani in postazione di eventuali novità - Tutto come al solito - fu la risposta.
Sapevamo che i tedeschi avevano una difesa sul monte chiamato Libro Aperto, quella era la prima dislocazione da attaccare.
In doppia fila indiana sui due cigli del costone, distanziati gli uni dagli altri di cinque o sei metri, partimmo con le armi spianate, passammo un piccolo rialzo e ad un centinaio di metri vedemmo la postazione, restammo con gli occhi fissi su di essa, per renderci conto subito se il pericolo era immediato.
Nessun segno di vita.
Avanzammo, sempre attenti, in quanto poteva essere una trappola per lasciarci avvicinare di proposito. A
ncora niente.
Con passo più spedito ci avvicinammo, poi entrammo: la zona era deserta, i tedeschi l'avevano abbandonata.
Si capiva però che la loro partenza era avvenuta da poco.
Andammo oltre ed arrivammo al passo della Croce Arcana: era questo un passo per modo di dire perchè di fianco ad una piccola depressione e su un rialzo di roccia vi era una grossa croce di ferro.
Non so perchè sia stata messa in quel luogo.
Lo chiamavano passo forse per la ragione che da qui partiva un viottolo il quale, dopo un lungo percorso tortuoso, andava ad unirsi ad un secondo sentiero per arrivare a Cima Tauffi, fortificazione questa facente parte della linea gotica.

Se i tedeschi fossero scesi da quel viottolo noi ci saremmo trovati tra due fuochi.
Decisi quindi di mettere due partigiani appostati al passo; uno era il mitragliere con relativa mitragliatrice e l'altro l'aiutante, un ragazzo di sedici anni.
Era buio, diedi loro la parola d'ordine con l'accordo che sarei andato a riprenderli personalmente ad azione finita.
Salutai e partimmo.
Io e Tito, commissario della brigata Costrignano, portammo i partigiani in avvicinamento.
Raggiungemmo un costone liscio e pulito, era un calanco terminante in una cresta sopraelevata.
Dietro quella cima ognuno di noi scavò una fossa e dentro ci mettemmo ad aspettare poichè, essendo quasi giorno, attraversare quella piccola sopraelevazione significava esporsi al fuoco diretto del nemico, infatti tutto il tratto davanti a noi era privo di qualsiasi possibilità di riparo.
I tedeschi s'accorsero della nostra presenza e c'investirono con un'infernale sarabanda di colpi di mortaio.
Noi eravamo inchiodati là, senza alcuna possibilità di manovra, occorreva aspettare il buio per attaccare.
Allo scopo di saggiare il nemico mettemmo la bustina (eravamo sprovvisti di elmetto) in mostra, oltre il terrapieno, sostenuta da scaglie di roccia.
Subito una gragnola di proiettili da mitragliatrice, sibilanti, passò sopra di noi.
Capimmo quindi che, oltre alla fortificazione Tauffi, molto più a destra, una mitragliatrice incrociava il fuoco con la prima.
Era opportuno aspettare dentro quella buca, senza muoverci durante tutta la notte senza dormire.
Col passare delle ore iniziò a farsi sentire un certo rilassamento.
Ad un tratto però un botto tremendo mi scosse, un colpo di mortaio, scoppiato a meno di un metro, mi aveva letteralmente coperto di terra e di scaglie di roccia.
Un braccio mi sanguinava, l'esaminai, era solo un graffio, provocato forse da un frammento di roccia.
Aiutandomi con i denti e l'altra mano, annodai il fazzoletto e tutto finì lì.
Ma si doveva ancora aspettare, era snervante quell'attesa.
Verso le due del pomeriggio un banco di nebbia basso e fitto si posò sul costone, coprendoci alla vista. Non si vedeva assolutamente nulla.
Presi allora l'improvvisa decisione di attaccare.

Come da disposizione data due partigiani armati di bazooka, lanciandosi di corsa nella nebbia, arrivarono ad una cinquantina di metri dalla postazione tedesca con le armi già cariche, si fermarono, s'inginocchiarono e scaricarono i colpi contro di loro.
Nel frattempo altri partigiani si erano portati sotto il fortino, lanciando all'interno delle bombe a mano, mentre noi, avanzando di corsa, sparavamo brevi, ma continue raffiche di mitra.
I tedeschi, confusi nella nebbia, rispondevano al fuoco con raffiche sparate a caso. Tito ed io con due gruppi di uomini li accerchiammo ed entrammo dalla parte posteriore del fortino.
I soldati tedeschi erano tutti morti.
Di corsa raggiungemmo il rimanente del gruppo e ci contammo, avevamo solo un ferito.
Decidemmo di cercare l'accantonamento tedesco, che trovammo in una villetta lì vicino.
La circondammo.
Nella nebbia udimmo il suono di un grammofono a molla che proveniva dall'interno.
- Ci sono -dicemmo io e Tito.
Facemmo irruzione immediatamente. Al piano terra nessuno, in cantina nessuno, al piano superiore nessuno.
Intanto il grammofono esaurì la sua carica, cessò la musica, era stato per pochi minuti; questa volta la nebbia aveva agevolato la fuga.
Sentendosi ormai perduti, erano fuggiti lasciando tutto.

Era già notte fonda quando andai a ritirare i due amici lasciati di guardia al sentiero. Avevano udito gli spari, i colpi di mortaio, le raffiche delle mitragliatrici, ma se ne erano stati lì fermi, sdraiati nelle neve, senza mangiare, senza bere, nell'incertezza dell'esito dell'attacco, ad aspettarmi, come avevo ordinato.
A cento metri, sentendo i passi, intimarono l'alt.
Mi feci riconoscere più per la voce che per la parola d'ordine.
Risposero, m'avvicinai, quindi chiesi: - Come va ragazzini? - e loro di rimando, pulendosi le ginocchia dalla neve - Mah, è un po' freschino! -

Questo fu l'ultimo mio combattimento.

 

 
   
   
 
 

 

 

 

 

 

 

Brigate Garibaldi - Divisione Armando - Il Comandante di Battaglione Tenente Dartagnan (Alberto Cotti)